Il destino è quel che è, non c’è scampo più per me!, diceva il suo Frederick Frankenstein nel mitico Frankenstein Junior di Mel Brooks. E il destino purtroppo non ha lasciato scampo neanche a lui. Gene Wilder, all’anagrafe Jerome Silberman, ci ha lasciati all’età di 83 anni. Dalle scene e dallo schermo era già lontano da tempo, ma la sua icona comica non ha mai smesso di brillare.
Oggi dai suoi colleghi e dai suoi fan viene ricordato come un genio: ed in effetti lo era. Ad accorgersene per primo fu proprio Mel Brooks, regista con il quale ha stretto negli anni un sodalizio artistico di enorme successo: prima con Per favore, non toccate le vecchiette (The Producers), da molti considerata ancora oggi una delle commedie americane più belle e divertenti di tutti i tempi, poi con Mezzogiorno e mezzo di fuoco ed infine con la già citata parodia di Frankenstein, i cui dialoghi surreali tra il dottor Frederick e il suo assistente gobbuto Igor rappresentano una pagina imprescindibile della storia della comicità demenziale cinematografica. Dialoghi scritti dallo stesso Wilder insieme al regista e che valsero ad entrambi la nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale.
Perché Wilder non era solo una maschera al servizio dei meccanismi comici. Era anche un autore, a tutti gli effetti. Sceneggiatore, teatrante, scrittore e anche regista, il comico americano nella sua carriera ci ha regalato storie, personaggi e scene entrate con forza nell’immaginario collettivo. Come il mitico momento in cui Kelly LeBrook danza sulla grata del ricircolo dell’aria, imitando Marilyn Monroe e mandano in tilt il pubblicitario Teddy Pierce. Il film era ovviamente La signora in rosso, un vero e proprio cult movie, passato alla storia anche per la colonna sonora di Stevie Wonder che comprendeva il brano I Just Called to Say I Love You, vincitrice sia dell’Oscar che del Golden Globe.
Le note di questa canzone sembrano rispecchiare perfettamente lo spirito artistico di Wilder: un comico che sapeva trasmettere ironia quanto malinconia. I suoi occhi e il suo volto suscitavano risate ma anche tenerezza; il suo sguardo nascondeva piccole grandi sfumature di umanità. Nonostante i suoi personaggi viaggiassero costantemente su binari che trascendevano la realtà, portavano sullo schermo sentimenti ed emozioni che sapevano sempre di vero. E’ forse questa la ragione per cui Gene Wilder è entrato nel cuore di tutti. Lui sapeva avvicinare i suoi personaggi al pubblico, sapeva farlo sognare e divertire con una naturalezza fuori dal comune. Basti pensare alla sua interpretazione di Willy Wonka nel musical del 1971 tratto dal romanzo di Roald Dahl – poi portato sullo schermo anche da Tim Burton e Johnny Depp. Il piacevole disincanto con cui l’attore dà corpo e voce al titolare della stravagante fabbrica di cioccolato, dopo l’iniziale flop al botteghino, ha segnato generazioni su generazioni, rendendo quel personaggio una vera icona cinematografica.
Impossibile dimenticare il suo Willy Wonka. Impossibile dimenticare la sua intera carriera. Una carriera in cui Wilder ha dimostrato di saper essere un fantastico mattatore tanto quanto una fantastica spalla. Le tre pellicole che lo vedono duettare con Richard Pryor (Wagon-lits con omicidi, Non guardarmi: non ti sento, Non dirmelo… non ci credo), grazie alle quali si è dato vita ad una delle coppie più esilaranti del cinema americano, ne sono la prova.
Dei due, il primo ad andarsene è stato Pryor, nel 2005, ed ora Wilder l’ha raggiunto.
Sì, Gene Wilder ci ha lasciato. Ma i suoi film continueranno a farci ridere, il suo sguardo malinconico continuerà a sfondare lo schermo. Fortunatamente il suo cinema non ci farà mai scordare di lui. We love you, Gene!
Di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it